XI
Eppure credevo d’averti
perso. Invece no. Io non so più chi sei, dove sei, eppure ho ancora la certezza
di essere tua. Ero convita che fosse il solito periodo di allontanamento, ti ho
scritto miliardi di lettere e non ho mai ricevuto alcuna risposta. Come puoi
farmi questo? Come puoi riempire la mia esistenza delle più rigogliose speranze
e promesse e poi sparire nel nulla? Non è l’orgoglio di una donna abbandonata a
scrivere, ma un cuore lacero e straziato. Sei andato via così, senza darmi la
possibilità di replicare e ora non dovrei neppure scriverti. Io non ci credo
più, io non conosco più il tuo nome, non riconosco più le sillabe delle tue
parole e invece tu…
Tu eri la speranza che io
avevo sepolto. Ti conobbi in un bar di cui non ricordo il nome, mentre tu
ricorderai sicuramente, dialogammo a lungo, ricordi? Davo risposte veloci e
distaccate, ma avevi un bel sorriso. Avevo un cappello alla francese e una
maglia a righe, facevo i filtri per le sigarette con la copertina di un libro
che detestavo, la cui materia sarebbe divenuta anni dopo l’oggetto della mia
tesi di laurea in lettere classiche, all’epoca ancora non lavoravo e avevo
cinto me stessa con mura assai spesse. Nessuno doveva conoscere il mio segreto,
nessuno le mie lacrime per la morte di una persona avvenuta tanto tempo fa,
nessuno poteva e doveva amarmi eccetto me stessa. Cosa volevi, uomo alto e con
le mani lunghe da pianista? Perché dopo
il caffè non mi hai baciata? Te ne andasti all’improvviso e io a stento ti diedi una
fredda stretta di mano e poi corsi via, veloce, dio sa quanto mi sarei voluta
voltare e quanto avrei voluto che mi inseguissi, non ho ma avuto il coraggio di
dirtelo. Fui tua in una notte di
primavera, fui tua in una fedeltà che ti serbavo pur non concedendomi
completamente, e tu ne soffrivi. Poi
l’amore tira le sue frecce e non appen fui distante da te, un desiderio puro mi
conquistò. Fu allora che capitolai, e dovetti ammetterlo a me stessa.:’’ Giulia
è crollata miseramente’’, quanto mi odiavo. Ero pronta a cedermi proprio quando
tu avevi un’idea di me sbagliata, riflesso purtroppo di quanto io ti avevo
indotto a credere. E proprio nel momento
in cui io volevo regalargli la mia debolezza tu ti ammalasti. Continuavo a
cedermi nelle notti e nelle mattine d’agosto, gli abbracci erano stanchi e
teneri, nelle notti afose rimanevano solo gli orgasmi a tenerci insieme. Io non
riuscivo a recuperati e tu, io lo vedevo, io lo sapevo, nonostante tutto non
riuscivi a guarire. Alternavo nel mio animo momenti di lucidità in cui ero
convinta che tu mi amassi, a momenti di vacillante follia e dolore in cui
attribuivo il tuo distacco ad un cieco egoismo. Io ti amavo, mi scolpivo nella
tua essenza e pure non riuscivo ad
alzarmi, non smettevo di precipitare in quel baratro di assenza di me stessa,
smisi di mangiare e mai smisi di piangere. Mi lasciasti il trenta agosto, e fu
da quel giorno che io iniziai a soffocare, probabilmente non ho mai sofferto
tanto nella mia vita. Arrivai a credere
che fossi morto, ma in quegli abbracci dati in alcune ore prestabilite nei
giorni caldi di settembre tornai a crederci. I conti non potevano essere
chiusi, non potevi essere morto, Alessandro, perché io ti avrei tenuto in vita io grazie al mio
sentimento. Quanto ero immatura a pensare questo, e quanto ero pura: io ero convinta,
pur avendo il mondo contro, che io ti avrei salvato, ti avrei portato a me,
perché tu eri mio, e soprattutto perché quando le tue mani erano nelle tasche
dei miei jeans era sempre la cosa più bella del mondo. Io credo e credevo nella
forza totalizzante di questo sentimento, ed ho imparato a credere che delle
volte ci si perde. I rapporti umani sono ciò di cui abbiamo maggiormente
bisogno e ciò che ci porta irremediabilmente a perderci, a dimenticarci di noi
stessi, i legami richiedono l’intervento dellla ragione prima o poi. Essi sono
un volo da un polo ad un altro: Oggi
provo a guardare l'amore non come il frutto di un rapporto binario tra l'odio e
l'amore. Provo oggi a vedere l'amore come il frutto di un processo di un
continuo movimento, come una spirale formata da due corpi che gira sempre.
Nella quale delle volte i corpi si muovono organicamente e sinergicamente,
altre invece ciascuno tende ad
allontanarsi pur non perdendo mai quel punto di contatto. Ecco vedo l'amore
come quel sentimento per il quale riesco ad essere perfettamente
nell'altro, pur se l’altro è distante. L'amore è proprio di due essere viventi
che mai riescono completamente a compenetrarsi ma ciononostante tendano
necessariamente a farlo, pur errando.
L'amore muove il mondo perché comporta necessariamente il cambiamento, perché
determina l'errore e comporta la sua risoluzione. L'amore è il solo e unico
elemento che consente la vita, non importa verso chi o che cosa, basta che ci
sia pur in questa forma l' errore e la risoluzione.
Spero che m'amerai nonostante gli errori è forse la cosa più reale che si possa
dire. Io avevo e tutt’ora ho questa idea d’amore e nei giorni dimentichi di noi
stessi cercavo di affermarla con prepotenza, invano. Lasciavo il cortile dei
nostri incontri tra le molte lacrime, promettendo a me stessa che non sarei
ritornata lì, cercavo di farmi coraggio, tentavo di convincermi che non eri la
persona giusta, e che la vita era troppo breve per sprecarla così come facevo.
Provavo ad allontanarti ricordando
quelle sere orribili d’agosto, quando avendo perso tutti e due il sonno, e giacevamo
immobili nel letto, cercando di convincere l’altro che Morfeo ci avevo
conquistato. Una sera fra tante tu ed io litigammo, tu mi prendesti il polso, e
dicesti che dovevo dormire, che dovevo
smettere di piangere, che il giorno seguente avremmo dovuto studiare, io mi
alzai e lasciai l’anello che mi avevi regalato sul tavolo, minacciai di
andarmene, cosa che non mi impedii di fare. Non lo feci, non mi allontanai mai,
neppure durante i litigi per strada. A distanza di anni guardo a questo periodo
con sorriso, con la tenerezza, immaginando due ragazzi che provavano per la
prima volta l’amore. Pur nella sofferenza e nell’esagerazione che avevano
mostrato l’aspetto più terribile dell’uno e dell’altro, pur nelle ansie e nelle
irrazionalità totali, se non avessi affrontato quel periodo, io oggi non sarei
arrivata qui. Mi diceva, nei tuoi soliti noiosi, melodrammatici ed esagerati
toni, che è necessaria la distruzione per creare la pace; mentre io, idealista
e donna, sono un’eraclitea convinta: la dinamica oppositiva rende possibile
l’affiorare del senso. Quanto ti odiavo,
Alessandro, quando distruggevi tutto il nostro rapporto, quando con la tua
mania di perfezione volevi che le cose stessero sempre a loro posto dalla
tazzina da caffè riposta dentro al mobile alla mia schiena dritta. Io pensavo
chetui volevi distruggere completamente me stessa, la mia indole, il mio
carattere, per plasmarmi e farmi divenire ciò che volevi. Oggi ho capito che lo facevi per il
mio bene, ma fino a quando si è disposti a cambiare, modificando se stessi per
un’altra persona? Non c’era possibilità di risoluzione in quel periodo tu
ancorato nelle tue rigide posizioni e io nei miei piagnistei. La prima volta
che parlammo seranamente fu anni dopo, una sera dopo l’ennesimo litigio,
d’estate a luglio, quando ero in procinto di scappare da te, etui mi invitasti
a casa tua. Fu allora che smisi di piangere,fu solo allora. Io e te eravamo,
quanto è bello e infantile dirlo, la coppia più bella del mondo, lo siamo
sempre stati. Le persone non lo capiscono, né lo capiranno, mi hanno più volte
invitato a desistere, ma io continuavo perché ? Perché l’amore è duplice
tensione verso se stessi e l’altro. Non c’è amore senza lacrime, folli
inseguimenti, non c’è amore che sia stasi, l’amore è movimento. E l’amore a
vent’anni è lo sforzo più grande che esista perché a un tempo devi dare
equilibrio a te stesso e all’altro. Ma poi io uno come te non lo avrei mai
trovato, per quanto possa essere scontato. Alessandro mi hai fatto sentire per
la prima volta piccola, mi hai stretto per la prima volta a te donandomi
protezione, mi hai insegnato l’amore per la parola. Lo ricordo, come fosse
ieri, tra le mani un libro, il tuo sguardo sognante ei tuoi occhi scuri come la
terra, mentre leggvi i tuoi libri. Io
non ho mai visto altro più amante e coraggioso di te nella lotta che svolgevi
contro te stesso per affermare l’amore per lo scrivere. Eri di una delicatezza
estrema, di una dolcezza straordinaria, immensamente travolgente ed io ero con
te, sempre. Amare significa lasciarsi travolgere dai sogni dell’altro e farli
divenire propri, tu invece pensavi che a me non importasse o importasse poco,
ma io un certo distacco dovevo mantenerlo. Tu eri così. Te ne andavi spesso, te
ne sei sempre andato sin dal primo mese di relazione, ma tornavi sempre. Dopo
due ore, dopo un giorno, dopo tre giorni. Eri fatto così. Avevi bisogno sempre
di ricordare e comprendere te stesso, tu non concedevi a te stesso di perderti.
Testone, amore mio, io questa cosa non l’ho mai capita, né la capirò mai. Ma
non è detto tuttavia che debba completamente capire ogni cosa di te. Certe
volte bisogna accettare le cose e basta, ma ora dove sei? E’ passato troppo
tempo, io non ce la faccio, la mia vita prosegue, puoi essere soddisfatto, tra
le solite lezioni e la preparazione per il concorso, ma io non posso più
chiederti nulla, non posso rivolgermi a te per un aiuto, né fare una
passeggiata liberatoria, né carezzarti i capellini sotto le coperte di inverno,
o mangiarci le nastrine, te lo ricordi? Non l’abbiamo mai fatto. Non deve
finire così perché io devo girare il mondo con te, perché dobbiamo ancora
litigare e inseguirci per tutta la città, perché io voglio che tu mi dica
ancora che sono la più bella del mondo, e perché io da quando non ci sei non
provo più interesse per nulla, e perché io ti amo ancora. Dimmi dove sei.
Giulia