venerdì 4 settembre 2015

Capitolo XI


XI


Eppure credevo d’averti perso. Invece no. Io non so più chi sei, dove sei, eppure ho ancora la certezza di essere tua. Ero convita che fosse il solito periodo di allontanamento, ti ho scritto miliardi di lettere e non ho mai ricevuto alcuna risposta. Come puoi farmi questo? Come puoi riempire la mia esistenza delle più rigogliose speranze e promesse e poi sparire nel nulla? Non è l’orgoglio di una donna abbandonata a scrivere, ma un cuore lacero e straziato. Sei andato via così, senza darmi la possibilità di replicare e ora non dovrei neppure scriverti. Io non ci credo più, io non conosco più il tuo nome, non riconosco più le sillabe delle tue parole e invece tu…
Tu eri la speranza che io avevo sepolto. Ti conobbi in un bar di cui non ricordo il nome, mentre tu ricorderai sicuramente, dialogammo a lungo, ricordi? Davo risposte veloci e distaccate, ma avevi un bel sorriso. Avevo un cappello alla francese e una maglia a righe, facevo i filtri per le sigarette con la copertina di un libro che detestavo, la cui materia sarebbe divenuta anni dopo l’oggetto della mia tesi di laurea in lettere classiche, all’epoca ancora non lavoravo e avevo cinto me stessa con mura assai spesse. Nessuno doveva conoscere il mio segreto, nessuno le mie lacrime per la morte di una persona avvenuta tanto tempo fa, nessuno poteva e doveva amarmi eccetto me stessa. Cosa volevi, uomo alto e con le  mani lunghe da pianista? Perché dopo il caffè non mi hai baciata? Te ne andasti  all’improvviso e io a stento ti diedi una fredda stretta di mano e poi corsi via, veloce, dio sa quanto mi sarei voluta voltare e quanto avrei voluto che mi inseguissi, non ho ma avuto il coraggio di dirtelo. Fui tua  in una notte di primavera, fui tua in una fedeltà che ti serbavo pur non concedendomi completamente,  e tu ne soffrivi. Poi l’amore tira le sue frecce e non appen fui distante da te, un desiderio puro mi conquistò. Fu allora che capitolai, e dovetti ammetterlo a me stessa.:’’ Giulia è crollata miseramente’’, quanto mi odiavo. Ero pronta a cedermi proprio quando tu avevi un’idea di me sbagliata, riflesso purtroppo di quanto io ti avevo indotto a  credere. E proprio nel momento in cui io volevo regalargli la mia debolezza tu ti ammalasti. Continuavo a cedermi nelle notti e nelle mattine d’agosto, gli abbracci erano stanchi e teneri, nelle notti afose rimanevano solo gli orgasmi a tenerci insieme. Io non riuscivo a recuperati e tu, io lo vedevo, io lo sapevo, nonostante tutto non riuscivi a guarire. Alternavo nel mio animo momenti di lucidità in cui ero convinta che tu mi amassi, a momenti di vacillante follia e dolore in cui attribuivo il tuo distacco ad un cieco egoismo. Io ti amavo, mi scolpivo nella tua essenza  e pure non riuscivo ad alzarmi, non smettevo di precipitare in quel baratro di assenza di me stessa, smisi di mangiare e mai smisi di piangere. Mi lasciasti il trenta agosto, e fu da quel giorno che io iniziai a soffocare, probabilmente non ho mai sofferto tanto nella mia vita.  Arrivai a credere che fossi morto, ma in quegli abbracci dati in alcune ore prestabilite nei giorni caldi di settembre tornai a crederci. I conti non potevano essere chiusi, non potevi essere morto, Alessandro, perché  io ti avrei tenuto in vita io grazie al mio sentimento. Quanto ero immatura a pensare  questo, e quanto ero pura: io ero convinta, pur avendo il mondo contro, che io ti avrei salvato, ti avrei portato a me, perché tu eri mio, e soprattutto perché quando le tue mani erano nelle tasche dei miei jeans era sempre la cosa più bella del mondo. Io credo e credevo nella forza totalizzante di questo sentimento, ed ho imparato a credere che delle volte ci si perde. I rapporti umani sono ciò di cui abbiamo maggiormente bisogno e ciò che ci porta irremediabilmente a perderci, a dimenticarci di noi stessi, i legami richiedono l’intervento dellla ragione prima o poi. Essi sono un volo da un polo ad un altro: Oggi provo a guardare l'amore non come il frutto di un rapporto binario tra l'odio e l'amore. Provo oggi a vedere l'amore come il frutto di un processo di un continuo movimento, come una spirale formata da due corpi che gira sempre. Nella quale delle volte i corpi si muovono organicamente e sinergicamente, altre invece  ciascuno tende ad allontanarsi pur non perdendo mai quel punto di contatto. Ecco vedo l'amore come quel sentimento per il quale riesco ad essere perfettamente nell'altro, pur se l’altro è distante. L'amore è proprio di due essere viventi che mai riescono completamente a compenetrarsi ma ciononostante tendano necessariamente  a farlo, pur errando. L'amore muove il mondo perché comporta necessariamente il cambiamento, perché determina l'errore e comporta la sua risoluzione. L'amore è il solo e unico elemento che consente la vita, non importa verso chi o che cosa, basta che ci sia pur in questa forma l' errore e la risoluzione.


Spero che m'amerai nonostante gli errori è forse la cosa più reale che si possa dire. Io avevo e tutt’ora ho questa idea d’amore e nei giorni dimentichi di noi stessi cercavo di affermarla con prepotenza, invano. Lasciavo il cortile dei nostri incontri tra le molte lacrime, promettendo a me stessa che non sarei ritornata lì, cercavo di farmi coraggio, tentavo di convincermi che non eri la persona giusta, e che la vita era troppo breve per sprecarla così come facevo. Provavo ad allontanarti  ricordando quelle sere orribili d’agosto, quando avendo perso tutti e due il sonno, e giacevamo immobili nel letto, cercando di convincere l’altro che Morfeo ci avevo conquistato. Una sera fra tante tu ed io litigammo, tu mi prendesti il polso, e dicesti  che dovevo dormire, che dovevo smettere di piangere, che il giorno seguente avremmo dovuto studiare, io mi alzai e lasciai l’anello che mi avevi regalato sul tavolo, minacciai di andarmene, cosa che non mi impedii di fare. Non lo feci, non mi allontanai mai, neppure durante i litigi per strada. A distanza di anni guardo a questo periodo con sorriso, con la tenerezza, immaginando due ragazzi che provavano per la prima volta l’amore. Pur nella sofferenza e nell’esagerazione che avevano mostrato l’aspetto più terribile dell’uno e dell’altro, pur nelle ansie e nelle irrazionalità totali, se non avessi affrontato quel periodo, io oggi non sarei arrivata qui. Mi diceva, nei tuoi soliti noiosi, melodrammatici ed esagerati toni, che è necessaria la distruzione per creare la pace; mentre io, idealista e donna, sono un’eraclitea convinta: la dinamica oppositiva rende possibile l’affiorare del senso. Quanto ti  odiavo, Alessandro, quando distruggevi tutto il nostro rapporto, quando con la tua mania di perfezione volevi che le cose stessero sempre a loro posto dalla tazzina da caffè riposta dentro al mobile alla mia schiena dritta. Io pensavo chetui volevi distruggere completamente me stessa, la mia indole, il mio carattere, per plasmarmi e farmi divenire ciò che  volevi. Oggi ho capito che lo facevi per il mio bene, ma fino a quando si è disposti a cambiare, modificando se stessi per un’altra persona? Non c’era possibilità di risoluzione in quel periodo tu ancorato nelle tue rigide posizioni e io nei miei piagnistei. La prima volta che parlammo seranamente fu anni dopo, una sera dopo l’ennesimo litigio, d’estate a luglio, quando ero in procinto di scappare da te, etui mi invitasti a casa tua. Fu allora che smisi di piangere,fu solo allora. Io e te eravamo, quanto è bello e infantile dirlo, la coppia più bella del mondo, lo siamo sempre stati. Le persone non lo capiscono, né lo capiranno, mi hanno più volte invitato a desistere, ma io continuavo perché ? Perché l’amore è duplice tensione verso se stessi e l’altro. Non c’è amore senza lacrime, folli inseguimenti, non c’è amore che sia stasi, l’amore è movimento. E l’amore a vent’anni è lo sforzo più grande che esista perché a un tempo devi dare equilibrio a te stesso e all’altro. Ma poi io uno come te non lo avrei mai trovato, per quanto possa essere scontato. Alessandro mi hai fatto sentire per la prima volta piccola, mi hai stretto per la prima volta a te donandomi protezione, mi hai insegnato l’amore per la parola. Lo ricordo, come fosse ieri, tra le mani un libro, il tuo sguardo sognante ei tuoi occhi scuri come la terra,  mentre leggvi i tuoi libri. Io non ho mai visto altro più amante e coraggioso di te nella lotta che svolgevi contro te stesso per affermare l’amore per lo scrivere. Eri di una delicatezza estrema, di una dolcezza straordinaria, immensamente travolgente ed io ero con te, sempre. Amare significa lasciarsi travolgere dai sogni dell’altro e farli divenire propri, tu invece pensavi che a me non importasse o importasse poco, ma io un certo distacco dovevo mantenerlo. Tu eri così. Te ne andavi spesso, te ne sei sempre andato sin dal primo mese di relazione, ma tornavi sempre. Dopo due ore, dopo un giorno, dopo tre giorni. Eri fatto così. Avevi bisogno sempre di ricordare e comprendere te stesso, tu non concedevi a te stesso di perderti. Testone, amore mio, io questa cosa non l’ho mai capita, né la capirò mai. Ma non è detto tuttavia che debba completamente capire ogni cosa di te. Certe volte bisogna accettare le cose e basta, ma ora dove sei? E’ passato troppo tempo, io non ce la faccio, la mia vita prosegue, puoi essere soddisfatto, tra le solite lezioni e la preparazione per il concorso, ma io non posso più chiederti nulla, non posso rivolgermi a te per un aiuto, né fare una passeggiata liberatoria, né carezzarti i capellini sotto le coperte di inverno, o mangiarci le nastrine, te lo ricordi? Non l’abbiamo mai fatto. Non deve finire così perché io devo girare il mondo con te, perché dobbiamo ancora litigare e inseguirci per tutta la città, perché io voglio che tu mi dica ancora che sono la più bella del mondo, e perché io da quando non ci sei non provo più interesse per nulla, e perché io ti amo ancora. Dimmi dove sei.

                                                                                                                                         Giulia

Nessun commento:

Posta un commento