VI
La
incontrai alle venti e trenta al bar Algi, lo stesso della prima volta. Ci sono
luoghi e ricorrenze che in una storia tornano e ritornano milioni di volte. Le
diedi appuntamento con una scusa: aiutarla a tradurre i classici di greco per
l’esame di novembre.
Ci
salutammo da lontano, con paura. Agitando la mano nell’aria, come saluta chi
va, non chi sa di tornare. Sedemmo a tavolino e nonostante l’orario ordinammo
un caffè. In silenzio io presi uno dei libri e lo aprii sulle gambe, La storia di Cherea e Calliroe, quello
in cui avevo inserito il foglio che le avrei dato. Quando mi sarebbe tornato il
coraggio.
<<Allora…
io direi di cominciare dal primo capitolo, con un po’ di volontà potremmo
arrivare a metà libro>>
<<Va
bene>> rispose Giulia sommessa, <<ma prima ordiniamo un
caffè>>
Prendemmo
un amaro e una cioccolata calda. Li sorseggiammo in silenzio, con gli occhi
bassi. Io sopra il libro, sfogliandone le pagine; lei sulla tazza, sfiorandosi
le mani.
Un
capitolo del libro cominciava così
la pelle bianca risplendette,
lanciando come uno scintillio, tenera era la sua carne, tanto da temere che
anche solo a toccarla le si potesse recare dolore.
Deglutii in un tremito, trattenni un
singhiozzo e una lacrima.
<<Cominciamo,
su, chè si fa tardi>>
Giulia
posò la tazzina sul tavolo e si spostò con la sedia accanto a me, avendo noi
due un solo libro di testo. Sudavo freddo.
<<asfalès
significa sicuro, vero?>>
<<Sì>>
<<Come
faccio a ricordarlo?>>
<<Se
ci pensi, in italiano, asfalto significa più o meno la stessa cosa. Serve per
rendere le strade sicure, no?>>
Spalancò
gli occhi sorpresa, come quando si scopre qualcosa che si era sempre avuta
sotto il naso.
<<Quindi
questo significa il contrario, insicuro!>> esclamò indicando con la punta
del dito una parola poco più sotto.
<<Sì,
sei diventata brava, hai visto?>> in un istante Giulia ebbe un sussulto,
si spinse in avanti col collo e le spalle, poi si frenò nello stesso momento.
Avrebbe voluto abbracciarmi, però non lo fece (e io feci finta di non averlo
notato). Continuammo con la traduzione.
Con l’avanzare del tempo il padrone
non riusciva a darsi pace, era con tutto se stesso nel tempio d’Afrodite, dove
l’aveva incontrata la prima volta. Si ricordava di tutto, del suo volto, dei
capelli, di come s’era voltata, di come aveva guardato, della sua voce,
l’atteggiamento, le parole. Lo lacrime lo bruciavano. Si poteva assistere alla
lotta tra ragione e sentimento.
Il
testo sembrava parlare di me. E di Giulia! La sua candida pelle, il mio dolore…
<<In
greco pathos vuol dire sia dolore… sia sentimento. Questo me lo hai insegnato
tu>>
Non ce la feci più. Strinsi
i pugni così forte che sentivo le unghie penetrarmi nella carne della mano.
<<Giulia io…>> Le parole mi si bloccarono in gola nel momento in
cui tentavano di uscire tutte insieme. Le mie labbra si aprivano al gonfiare
prepotente dei polmoni nella voglia di urlarle tutto il mondo in un fiato, ma
poi tutto mi si accartocciava nella bocca, permettendo il fuoriuscire solo a
stralci di parole. <<Giulia io…>>
Presi subito la lettera, la
aprii, senza premetterle nulla cominciai a leggere, secondo i dettami di un
cuore tiranno:
Io ti amo. Ti amo perché hai le mani
piccole, i denti a coniglio, il collo sottile.
Ti amo perché hai un neo sul naso, ed uno
sull’orecchio: il primo nascosto nelle foto, il secondo nascosto dai capelli.
Ti amo perché sei fragile, ti amo perché per
strada di notte hai paura di camminare da sola. Ti amo perché indossi le scarpe
da strega, e poi ci salti nelle pozzanghere.
Ti amo perché sei bella, ti amo perché non
sarai per sempre mia, ti amo perché mangi le carote come un criceto.
Ti amo perché non sai leggere in metrica,
perché scambi paralumi per cappelli, perché hai una borsa che pesa più del mio
zaino.
Ti amo perché mi chiami Sandrino, Leone,
testone, pelato… ti amo perché per me queste sono diventate parole d’amore.
Ti amo perché quando devo incontrarti mi
manca il respiro, perché quando mi abbracci mi batte ancora il cuore. Ti amo
perché anche nei cessi dell’università tu rimani la ragazza più bella che io
abbia mai visto.
Ti amo perché non mi importa delle notti
insonni, o della stanchezza, o della paura di poter diventare pazzo. Ti amo
perché senza di te la vita non ha senso, e non lo aveva prima. Prima che ti
conoscessi.
Ti amo perché quella notte sulla spiaggia,
quando ti dissi che mi faceva male il cuore, capii che d’amore ci si muore per
davvero, e non solo nei film.
Ti amo perché potrebbe scendere Dio in
persona a dirmi di scacciarti via, e io non lo farei. Ti amo perché l’hanno
fatto il mio psichiatra, mio padre, i miei amici. Ti amo perché mi vergogno
profondamente della mia famiglia e del luogo in cui vivo ma non te l’ho mai
detto. Ti amo perché se non ci sei tu non hanno senso le cose, non sono belle
le poesie, non ha motivo voler essere un poeta. Eppure darei via ora il greco,
il latino, e la poesia, solo per essere un po’ più forte, solo per poterti
lasciare ogni giorno la convinzione e la certezza che io sono il tuo pilastro,
che se tu cadi io sono lì, pronto a sorreggerti. Ti amo perché se essere forte
significa prendere dei medicinali allora va bene, saremo degli innamorati
pazzi! Nel verso senso del termine.
Ti amo perché queste cose dovrei urlartele
in faccia e stringerti il petto su un muro, ti amo perché nonostante tutto tu
mi ascolti lo stesso.
Ti amo perché non ho mai pensato di
tradirti, nemmeno per dimenticarti, e ogni qualvolta ci provavo mi sentivo in
colpa, poi non capendone il motivo mi mettevo a piangere. Il motivo è che ti
amo, ancora, sempre.
Che mi sono innamorato di te come nel sonno,
senza accorgermene, tutto d’un tratto. Ti amo perché non c’è amore in quello
che studio, nelle cose che faccio. Ti amo perché quando mi chiedo dove sia
finito tutto quell’ardore con cui mi cimentavo prima in quelle azioni, mi trovo
a rispondermi che ora è tuo, e che non potrà più esserlo di altre persone così
come non lo è di altre cose.
Ti amo perché spesso mi fai male. Ti amo
perché quel giorno sono impazzito di gelosia e mi sono chiesto “come ha potuto
farlo?! Come ci è riuscita?! Come si fa?”. Ti amo perché al contempo ci
impazzisco e non mi importa niente. Ti amo perché stasera ti chiederei di
andare a dormire fuori, portandoti i tuoi libri, facendo greco tutta la notte
(ho tutta la cartella riempita di libri). Ti amo perché te lo sto chiedendo,
perché voglio guardarti studiare in silenzio, voglio sentirti balbettare un
esametro, un distico, un tetrametro. Ti amo perché voglio guardarti dormire e
accarezzarti mentre lo fai, sfiorarti le labbra, il collo ed i capelli. Ti amo
perché non vorrei fare altro, perché ti bacerei teneramente al risveglio
dicendoti “siamo ancora qui, siamo sempre noi. Morbosi, impauriti, pazzi,
scombinati… non possiamo essere diversamente da così ma io ti amo. Ti amo. Ti
amo. Ti amo.” E poi aggiungerei “Amore mio, ho paura, però sai… io un po’ nei
film in fondo in fondo ci credo, e non può piovere per sempre sulle nostre
teste, non è giusto che sia così, non è giusto il dover essere messi alla prova
ogni giorno, perché anche se non ce la faccio più, io voglio provarci fino a
quando avrò fiato nei polmoni e forza per tenermi in piedi. Non c’è un’altra
lotta che valga tanto al mondo. Non c’è nient’altro per cui valga la pena
lottare”.
Giulia
proruppe in un pianto liberatorio. Io la baciai sulla fronte, abbracciandola.
Tornammo
insieme. Quella volta giurammo che sarebbe stato per sempre.