IV
Intanto
l’amore correva, più in fretta di noi, più in fretta di me, che nella corsa
avevo perso senno e ragione. Non riuscivo a dormire, a studiare, non mangiavo
nemmeno. Capii quanto era falso quel luogo comune che fa di tutti gli amori una
stupida allegria condivisa. L’amore è un uragano. L’amore ti devasta. Ti scuote
dalle fondamenta e sradica ogni minima certezza che tu possa avere. Io lo
capii, ma non riuscivo a risalire a galla, non sapevo riprendermi. Fu così che
mi ammalai, che persi me stesso e finii in depressione. Pochi mesi dopo persi
anche lei, fui io a scacciarla, ossessionato
da lei, malato di lei. Nel terrore che quell’unico rimasuglio di ragione
rimastomi mi regalava: il rischio di affondare insieme. Fu questo l’unico
motivo per cui non le tesi la mano, per cui non le chiesi di salvarmi. La
paura, forse una forza più potente dell’amore stesso.
Fui
due mesi in terapia, assunsi ansiolitici, antidepressivi e sonniferi. Un velo
di Maya i cui brandelli porto ancora adesso sul capo. Mi distruggevo nel
desiderio di salvarmi. Era paradossale. Era terribile. Non passò una notte in
cui non la sognavo, il suo sorriso innocente, le sue lacrime di dispiacere. Era
un fardello orribile quello che mi caricavo indosso da solo: La consapevolezza
di fare del male alla donna che amavo, l’incapacità di smettere. Avrei voluto
morire.
La
terapia cominciò col fare effetto molto tempo dopo dal suo inizio: la ragione
ritornava, con essa la voglia di studiare, gli esami, e infine il sonno
perduto. L’unica cosa che stentava a cambiare era Giulia, la sua immagine, la
sua figura che ogni notte calava dal cielo nei sogni. Io ero ancora
profondamente e perdutamente innamorato di lei. Ma che fare? Come agire? Il
dubbio mi tormentava più della malattia. Era forse una mia colpa quella di non
riuscire a coniugare amore e vita? Come diamine facevano gli altri a costruire
rapporti su rapporti e continuare la loro, di vita, inseguire i propri sogni,
profondere l’impegno necessario al tutto? In cosa erano così dannatamente
superficiali, nell’amore o nella vita? Forse in entrambi, fatto sta che non
amavano, o che non amavano come amavo io. Di questo ne ero certo.
Ora
potrei aggiungere anche che Giulia era la mia prima ragazza, la prima
fidanzata, il primo vero amore. Perché non sono amori le cotte liceali, gli
amori estivi e quelli occasionali. Non sono veri amori quelli facili, quelli
del “proviamoci”, quelli del compromesso, come niente è vero che non costi
sudore, sangue e fatica. Possa essere anche il più stupido rapporto di amicizia.
Se non richiede nulla, mai… non ne vale la pena.
Ebbene
potrei aggiungere anche che Giulia era la mia prima ragazza e caricare il
nostro amore di quella sciocca ed ostinata convinzione per cui ogni primo amore
è necessariamente difficile e sofferto e maledetto… condannato alla fine.
Ogni-primo-amore.
Certo. Come se ce ne fossero secondi, terzi, quarti e penultimi di amori.
L’amore è unico, questa è un’altra cosa che ho imparato col tempo. Possa
arrivare subito o tra cent’anni è sempre il primo. Non ci sono alternative.
Nessuno mai ne ha cercate.
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