mercoledì 15 luglio 2015

Capitolo VI


VI

La incontrai alle venti e trenta al bar Algi, lo stesso della prima volta. Ci sono luoghi e ricorrenze che in una storia tornano e ritornano milioni di volte. Le diedi appuntamento con una scusa: aiutarla a tradurre i classici di greco per l’esame di novembre.
Ci salutammo da lontano, con paura. Agitando la mano nell’aria, come saluta chi va, non chi sa di tornare. Sedemmo a tavolino e nonostante l’orario ordinammo un caffè. In silenzio io presi uno dei libri e lo aprii sulle gambe, La storia di Cherea e Calliroe, quello in cui avevo inserito il foglio che le avrei dato. Quando mi sarebbe tornato il coraggio.

<<Allora… io direi di cominciare dal primo capitolo, con un po’ di volontà potremmo arrivare a metà libro>>

<<Va bene>> rispose Giulia sommessa, <<ma prima ordiniamo un caffè>>

Prendemmo un amaro e una cioccolata calda. Li sorseggiammo in silenzio, con gli occhi bassi. Io sopra il libro, sfogliandone le pagine; lei sulla tazza, sfiorandosi le mani.
Un capitolo del libro cominciava così

la pelle bianca risplendette, lanciando come uno scintillio, tenera era la sua carne, tanto da temere che anche solo a toccarla le si potesse recare dolore.

 Deglutii in un tremito, trattenni un singhiozzo e una lacrima.

<<Cominciamo, su, chè si fa tardi>>

Giulia posò la tazzina sul tavolo e si spostò con la sedia accanto a me, avendo noi due un solo libro di testo. Sudavo freddo.

<<asfalès significa sicuro, vero?>>
<<Sì>>
<<Come faccio a ricordarlo?>>
<<Se ci pensi, in italiano, asfalto significa più o meno la stessa cosa. Serve per rendere le strade sicure, no?>>
Spalancò gli occhi sorpresa, come quando si scopre qualcosa che si era sempre avuta sotto il naso.
<<Quindi questo significa il contrario, insicuro!>> esclamò indicando con la punta del dito una parola poco più sotto.
<<Sì, sei diventata brava, hai visto?>> in un istante Giulia ebbe un sussulto, si spinse in avanti col collo e le spalle, poi si frenò nello stesso momento. Avrebbe voluto abbracciarmi, però non lo fece (e io feci finta di non averlo notato). Continuammo con la traduzione.

Con l’avanzare del tempo il padrone non riusciva a darsi pace, era con tutto se stesso nel tempio d’Afrodite, dove l’aveva incontrata la prima volta. Si ricordava di tutto, del suo volto, dei capelli, di come s’era voltata, di come aveva guardato, della sua voce, l’atteggiamento, le parole. Lo lacrime lo bruciavano. Si poteva assistere alla lotta tra ragione e sentimento.

Il testo sembrava parlare di me. E di Giulia! La sua candida pelle, il mio dolore…

<<In greco pathos vuol dire sia dolore… sia sentimento. Questo me lo hai insegnato tu>>

Non ce la feci più. Strinsi i pugni così forte che sentivo le unghie penetrarmi nella carne della mano. <<Giulia io…>> Le parole mi si bloccarono in gola nel momento in cui tentavano di uscire tutte insieme. Le mie labbra si aprivano al gonfiare prepotente dei polmoni nella voglia di urlarle tutto il mondo in un fiato, ma poi tutto mi si accartocciava nella bocca, permettendo il fuoriuscire solo a stralci di parole. <<Giulia io…>>
Presi subito la lettera, la aprii, senza premetterle nulla cominciai a leggere, secondo i dettami di un cuore tiranno:


Io ti amo. Ti amo perché hai le mani piccole, i denti a coniglio, il collo sottile.
Ti amo perché hai un neo sul naso, ed uno sull’orecchio: il primo nascosto nelle foto, il secondo nascosto dai capelli.
Ti amo perché sei fragile, ti amo perché per strada di notte hai paura di camminare da sola. Ti amo perché indossi le scarpe da strega, e poi ci salti nelle pozzanghere.
Ti amo perché sei bella, ti amo perché non sarai per sempre mia, ti amo perché mangi le carote come un criceto.
Ti amo perché non sai leggere in metrica, perché scambi paralumi per cappelli, perché hai una borsa che pesa più del mio zaino.
Ti amo perché mi chiami Sandrino, Leone, testone, pelato… ti amo perché per me queste sono diventate parole d’amore.
Ti amo perché quando devo incontrarti mi manca il respiro, perché quando mi abbracci mi batte ancora il cuore. Ti amo perché anche nei cessi dell’università tu rimani la ragazza più bella che io abbia mai visto.
Ti amo perché non mi importa delle notti insonni, o della stanchezza, o della paura di poter diventare pazzo. Ti amo perché senza di te la vita non ha senso, e non lo aveva prima. Prima che ti conoscessi.
Ti amo perché quella notte sulla spiaggia, quando ti dissi che mi faceva male il cuore, capii che d’amore ci si muore per davvero, e non solo nei film.
Ti amo perché potrebbe scendere Dio in persona a dirmi di scacciarti via, e io non lo farei. Ti amo perché l’hanno fatto il mio psichiatra, mio padre, i miei amici. Ti amo perché mi vergogno profondamente della mia famiglia e del luogo in cui vivo ma non te l’ho mai detto. Ti amo perché se non ci sei tu non hanno senso le cose, non sono belle le poesie, non ha motivo voler essere un poeta. Eppure darei via ora il greco, il latino, e la poesia, solo per essere un po’ più forte, solo per poterti lasciare ogni giorno la convinzione e la certezza che io sono il tuo pilastro, che se tu cadi io sono lì, pronto a sorreggerti. Ti amo perché se essere forte significa prendere dei medicinali allora va bene, saremo degli innamorati pazzi! Nel verso senso del termine.
Ti amo perché queste cose dovrei urlartele in faccia e stringerti il petto su un muro, ti amo perché nonostante tutto tu mi ascolti lo stesso.
Ti amo perché non ho mai pensato di tradirti, nemmeno per dimenticarti, e ogni qualvolta ci provavo mi sentivo in colpa, poi non capendone il motivo mi mettevo a piangere. Il motivo è che ti amo, ancora, sempre.
Che mi sono innamorato di te come nel sonno, senza accorgermene, tutto d’un tratto. Ti amo perché non c’è amore in quello che studio, nelle cose che faccio. Ti amo perché quando mi chiedo dove sia finito tutto quell’ardore con cui mi cimentavo prima in quelle azioni, mi trovo a rispondermi che ora è tuo, e che non potrà più esserlo di altre persone così come non lo è di altre cose.
Ti amo perché spesso mi fai male. Ti amo perché quel giorno sono impazzito di gelosia e mi sono chiesto “come ha potuto farlo?! Come ci è riuscita?! Come si fa?”. Ti amo perché al contempo ci impazzisco e non mi importa niente. Ti amo perché stasera ti chiederei di andare a dormire fuori, portandoti i tuoi libri, facendo greco tutta la notte (ho tutta la cartella riempita di libri). Ti amo perché te lo sto chiedendo, perché voglio guardarti studiare in silenzio, voglio sentirti balbettare un esametro, un distico, un tetrametro. Ti amo perché voglio guardarti dormire e accarezzarti mentre lo fai, sfiorarti le labbra, il collo ed i capelli. Ti amo perché non vorrei fare altro, perché ti bacerei teneramente al risveglio dicendoti “siamo ancora qui, siamo sempre noi. Morbosi, impauriti, pazzi, scombinati… non possiamo essere diversamente da così ma io ti amo. Ti amo. Ti amo. Ti amo.” E poi aggiungerei “Amore mio, ho paura, però sai… io un po’ nei film in fondo in fondo ci credo, e non può piovere per sempre sulle nostre teste, non è giusto che sia così, non è giusto il dover essere messi alla prova ogni giorno, perché anche se non ce la faccio più, io voglio provarci fino a quando avrò fiato nei polmoni e forza per tenermi in piedi. Non c’è un’altra lotta che valga tanto al mondo. Non c’è nient’altro per cui valga la pena lottare”.


Giulia proruppe in un pianto liberatorio. Io la baciai sulla fronte, abbracciandola.

Tornammo insieme. Quella volta giurammo che sarebbe stato per sempre.


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